AUTORE: Eduard Estivill, Sylvia de Béjar
TITOLO: Fate la nanna
EDITORE: Mandragora
ANNO PUBBLICAZIONE: 1999

Il sottotitolo recita “il semplice metodo che vi insegna a risolvere per sempre l’insonnia del vostro bambino”.

«Ecco quello che mi serve, la ricetta miracolosa» potrebbe pensare un genitore che ha perso il sonno da ormai molte notti.

E a mio modesto parere ci sono suggerimenti validi, ad esempio quando descrive l’importanza dei “rituali” che introducono il sonno; oppure quando insiste sul fatto che sia bene che i bambini imparino a dormire da soli; e ancora quando sottolinea come sia fondamentale l’atteggiamento dei genitori, che riescano a trasmettere calma e serenità per accompagnare il figlio verso il sonno. “Il piccolo è come un radar costantemente puntato sugli stati d’animo dei genitori. Sente quel che loro sentono.” [pag. 33].

Altre affermazioni mi hanno lasciata perplessa, anzi mi hanno trovata fortemente contraria, tanto da farmi riconsiderare la validità dell’intero contenuto:

  • Seguite alla lettera queste istruzioni, in capo ad una settimana dormirete come ghiri (ma stiamo parlando di bambini o di elettrodomestici?);
  • L’età di vostro figlio è indifferente; pensate sempre di avere a che fare con un neonato (ma percezioni e bisogni cambiano con la crescita, come pure le richieste!).

Non viene mai fatto accenno al bisogno del bambino di essere ascoltato e accolto nelle sue richieste; non viene considerato il legame madre-figlio come canale di comunicazione-scambio e crescita per il bimbo.

Ne ho tratto l’impressione che l’autore non abbia provato sulla sua pelle cosa significa sentir piangere la propria creatura; mi è parso piuttosto uno scritto impersonale.

Per concludere, pedagogicamente contesto i metodi suggeriti nel capitolo 5 per far rimanere a letto più tempo i bambini: sono metodi diseducativi in quanto instaurano l’abitudine ad ottenere sempre un nuovo gioco, un premio, ogni volta che il bimbo “esegue” ciò che gli viene chiesto. E personalmente ritengo che sia l’adulto a dovere adattare i suoi ritmi (nel limite del possibile) a quelli del proprio figlio, e non viceversa.